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Ces deux hommes en blanc

M’ero proposto di scrivere d’altro oggi, ma quella foto, grande come un francobollo, di due uomini biancovestiti stagliati sul buio d’una soglia (laRepubblica p. 21), ha un fascino a cui non so resistere.
Le quattro mani si stringono in un segno che non è di prammatica e di cortesia, ma di vera calda accoglienza da una parte e di totale, abbandonata fiducia dall’altra. È il vecchio papa che si affida al successore, come il lupo che cede la supremazia sul branco gettandosi a terra sul dorso e mostrando la gola al vincitore in gesto di sottomissione incondizionata, ma anche a implorare clemenza. È il nuovo papa che accoglie con vera e totale benevolenza il vecchio monarca che gli ha lasciato spontaneamente il posto, e ora vuol potersi fidare ciecamente di lui, sicuro che non vorrà intralciargli il governo e l’azione, che anzi potrà giovarsi di quando in quando di lui, della sua esperienza, della sua dottrina, della sua conoscenza del cuori e delle menti di quegli uomini che sono poi gli stessi con i quali avrà pure lui a che fare.
È come respirare un’aria a cui non siamo più abituati, un’uria limpida pura fresca e corroborante dopo le tante giornate di nebbia, di smog e di esalazioni ammorbanti cui il mondo moderno ci ha ormai abituati e della cui insopportabilità ci rendiamo conto soltanto quando da quell’aria riusciamo ad evadere, fuggendo verso luoghi più salubri e più puri, in collina, o in alta montagna o in riva a un mare non accessibile alle auto, alle folle non di rado villane e profananti della sacralità della natura che invece affollano le città e le grandi spiagge formicolanti di gente che si crede libera solo perché può stare in costume da bagno, senza avvertire la pena del gomito a gomito, delle radioline gracidanti, delle risate scomposte, delle bestemmie volanti, e delle altre torture che la grande spiaggia sa offrirti.
Aria diversa, “altra” da quella che ormai si respira in qualsiasi Palazzo del potere politico, civile, amministrativo, finanziario e via dicendo, dove non sai mai chi è che ti sta davanti, se un amico vero o un burocrate sordo e cieco, se l’esperto che desidera sinceramente aiutarti o se l’uomo senza scrupoli che si serve di te come d’una pedina da mandare allo sbaraglio o come merce di scambio o come un gradino d’una scala ch’è necessario calpestare se vuoi conquistarne la cima.
Si proprio: in ogni Palazzo. Nessuno escluso. Con una avvertenza però: che più quel Palazzo sarà grande e alto e ricco, tanto più ripide saranno le scale; quanto più numerosi saranno gli avventurosi che su quelle scale si spingono nella speranza di arrivare alla cima, tanto meno scrupoli avranno nello sbarazzarsi dei competitori nello sforzo di arrivare in vetta; quanto più dura si farà la fatica, tanto più si affineranno gli stratagemmi per avanzare di posizione fino alla conquista del posto più alto.
Questa è la legge del Palazzo e delle sue lotte per il potere. E poco conta di quale colore sia il Palazzo: bianco o nero, rosso o verde, a stelle e strisce o croce di S. Giorgio e di S.Andrea; ma non cambia nemmeno se su quelle bandiere c’è la mezza luna, una falce e martello, una stella rossa o bianca e via dicendo: dovunque c’è un potere da difendere o da conquistare o da mercanteggiare sempre quelle sono le leggi che lo regolano. Illudersi è inutile; più ancora: è dannoso. Nessuna bandiera, nessun Palazzo fa eccezione.
Neanche la bandiera bianca e gialla della Città del Vaticano: anzi, quelle chiavi incrociate e la triplice corona del triregno che quelle chiavi sovrasta parlano d’un potere tanto assoluto che qualunque potere terreno impallidisce al confronto (a proposito: perché non si cancella quel triregno, se i papi hanno smesso di usarlo?Sai quali lotte ci ricorda?).
Certo fa tristezza pensare che proprio in quella gara al potere fra uomini di Chiesa va cercata la principale causa dell’abbandono di papa Benedetto XVI, carattere di ferro dal cuore gentile e dai modi affabili. Non sto giudicando nessuno: sto solo ripetendo alcuni amari concetti che il Ratzinger papa ha ripetutamente espresso in alcuni momenti particolarmente critici del suo pontificato, parlando ai cardinali in concistoro, o nelle Via crucis al Colosseo?
Era la nostalgia d’un cristianesimo puro che traspariva da quelle parole. Poi non ce l’ha fatta più, e come un Cefa invecchiato, ha deposto le vesti di Pietro ed è tornato a indossare quelle del pescatore, un vestito che in attimo si toglie e in un attimo si infila, come faceva sul lago di Tiberiade, quando non lo vedeva Gesù (Gv 21,7).
Le cause di questa ricorrente tentazione vengono tutte dal cuore umano, da quel vero peccato originale che è la sete mai sazia del potere che porta ricchezza, della ricchezza che dona potere; ora vale la prima, ora la seconda proposizione: il potere come scorciatoia alla ricchezza; la ricchezza come merce di scambio per il potere. Il potere si può anche comprare.
Non così dovrebbe essere per il cristiano, meno ancora per l’uomo di Dio. Ma chi potrebbe stupirsi che questo possa ancora accadere? Anche se è opinione diffusa fra gli storici che forse mai come oggi la Chiesa ha potuto disporre di uomini tanto all’altezza della loro funzione (sia fra i vescovi e i preti sia fra i laici impegnati), come potremmo meravigliarci che tale virtù non sia universale e che non siano pochi quelli che del Vangelo si servono per dare la scalata al potere? La giustificazione è sempre la stessa: voglio il potere per meglio servire. Spesso è soltanto ipocrisia e mancanza di scrupoli. Se non è ipocrisia, nel cristiano è santità; nel laico è virtù civica, culto della giustizia, onestà, senso dello Stato.
È ora di tornare a quelle due figure bianche su quella soglia scura della foto de laRepubblica.
Mai nel passato s’era visto qualcosa di simile. S’erano avuti antipapi, anche spesso, anche più d’uno contemporaneamente: 38 se li ho contati tutti, se li ho contati bene. Mica pochi! E sono tutte storie di rivalità spesso feroci, violente, di guerre, persecuzioni, alleanze ruffiane e adulterine fra poteri civili e religiosi, tradimenti, compravendite, minacce, allettamenti, prigionie, assassinii.
Ora questi due uomini in bianco si fronteggiano le mani nelle mani, quasi a dirsi l’un altro: non temere! Nell’altra mano non stringo nulla, né il pugnale né il veleno. Puoi fidarti di me come io mi fido di te: non ci faremo del male. Anzi, mi pare di sentire un bisbiglìo leggero; è Francesco che dice a Benedetto: per esserti più vicino, sono sceso al tuo stesso piano. Bello lassù, più vicino al cielo, ma troppo lontano dagli uomini. Ora siamo vicini di casa, giusto una passeggiata fra i giardini vaticani, da Santa Marta al tuo monastero. Là potremo vederci, parlarci, pregare insieme, mangiare insieme qualche volta; avrò bisogno dei tuoi consigli. È la prima volta che succede a un papa! Forse non sempre li potrò seguire. Tu non te ne avrai a male, immagino. Del resto tu faresti lo stesso al mio posto. Chi decide è colui che mette la firma. Questo lo sappiamo tutti e due. Il mondo capirà che il potere, quando lo vivi come servizio, può anche unire.
P.S. Mi piace pensare che a parlare così sono due uomini che hanno scelto due Santi umbri come modelli.

a.santantoni@tin.it                                                                       antoniosantantoni.org