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Sussidiario

Ho letto con passione la prima Enciclica di Papa Francesco (o l’ultima di Benedetto XVI?). La Lumen Fidei intendeva essere il momento finale di riflessione di un anno dedicato alla Fede. E vi ho trovato due elementi già ripresi nelle mie analisi della crisi economica. Il primo è la ripetizione in più punti di una parola tanto dimenticata dal popolo cristiano in questi tempi difficili: “memoria”. Eppure si tratta di un termine decisivo, a partire dal momento della fondazione del Sacramento dell’Eucarestia fino alla definizione del patrimonio della Fede (come memoria di fatti accaduti, come il contenuto del Credo) e fino alla definizione della struttura della Tradizione, che si consolida alla luce di fatti storici che hanno riguardato la Chiesa.

Una struttura, quella della memoria, decisiva in tutte le cose della vita umana, perché senza memoria non vi sarebbe alcun progresso scientifico, né vi potrebbe essere capacità di conoscenza storica, né vi sarebbe capacità di comprensione dell’economia o degli intimi meccanismi della finanza. Senza memoria, anche la matematica rimarrebbe monca, e la conoscenza della geometria frattale non ci darebbe alcun contributo nel comprendere la dinamica di questa crisi.

Così si legge al punto 9 della suddetta Enciclica: “Ciò che questa Parola dice ad Abramo consiste in una chiamata e in una promessa”; e questa è l’identica struttura della moneta, essendo la moneta una promessa di pagamento. Infatti, la banconota (o “nota di banco”) nasce come promessa di pagamento con l’oro depositato presso qualche “banco”. Ora che la moneta non è più rappresentazione di oro o di altri beni fisici, la moneta nasce ed è scambiata sulla fiducia, che è fiducia nella società nella quale viviamo e fiducia nella persona che ci trasmette la moneta. Quindi l’accettazione della moneta inevitabilmente ci proietta nel futuro; e la solidità di una moneta dipende anche dalla memoria e dalla verifica dell’esperienza. Senza memoria e senza verifica, ogni sistema monetario è destinato a perdere di valore.

Continua l’Enciclica: “È vero che, in quanto risposta a una Parola che precede, la fede di Abramo sarà sempre un atto di memoria. Tuttavia, questa memoria non fissa nel passato, ma, essendo memoria di una promessa, diventa capace di aprire al futuro, di illuminare i passi lungo la via. Si vede così come la fede, in quanto memoria del futuro, memoria futuri, sia direttamente legata alla speranza”. E questo è il punto d’origine della crisi dei mercati moderni. Tolta la memoria, hanno tolto la verifica della stessa nel tempo: così, è vero, hanno cancellato il rischio della verifica (perché se una verifica è seria, c’è il rischio sempre che il risultato di una verifica non sia positivo!). Ma tolto il rischio della verifica, hanno tolto anche la positività della verifica, cioè la ragionevole speranza: la certezza in un futuro in forza di una realtà presente.

Proprio la definizione di finanza è stata quella di un luogo di pacificazione, nel rapporto complesso (e a volte rischioso) tra debitori e creditori. Comunque un luogo di verifica. Oggi invece la finanza è divenuta il luogo dell’eterno rimando della resa dei conti. Non è più il luogo pacificatore dove rinasce e si rinsalda la fiducia; la fiducia è lasciata fuori della porta, con tutti i suoi rischi. Ma lasciando fuori la fiducia, hanno lasciato fuori il valore per cui nasce e per cui ha senso ogni struttura e ogni convenzione. La modernità ci ha portato gli strumenti di monetazione più vari: moneta cartacea, elettronica, a banda magnetica, a chip elettronico, titoli di stato, azioni, obbligazioni, derivati di ogni tipo. Abbiamo forme e strumenti monetari i più disparati: ma abbiamo perso il valore.

“La luce di Dio brilla per Israele attraverso la memoria dei fatti operati dal Signore, ricordati e confessati nel culti, trasmessi dai genitori ai figli” (n. 12). La memoria diventa insieme la struttura di trasmissione del valore nella famiglia e nella vita sociale, nella struttura del culto. In questa struttura, la vita personale e la vita sociale sono intimamente unite. E questa unità intima genera una capacità di conoscenza altrimenti impossibile: l’esperienza di vita familiare diventa sorgente di conoscenza anche per la vita sociale. Se si rompe questo legame, ciascuno di noi fa una esperienza di vita personale, ma questo non avrà nulla da dire riguardo l’ambiente sociale e le sue forme.

Proprio questo punto critico viene denunciato nell’Enciclica: “Richiamare la connessione della fede con la verità è oggi più che mai necessario, proprio per la crisi di verità in cui viviamo. Nella cultura contemporanea si tende spesso ad accettare come verità solo quella della tecnologia: è vero ciò che l’uomo riesce a costruire e a misurare con la sua scienza; vero, perché funziona, e così rende più comoda e agevole la vita [....]. Dall’altra parte vi sarebbero poi le verità del singolo [...]. La verità grande, la verità che spiega l’insieme della vita personale e sociale, è guardata con sospetto [...]. Possiamo parlare, a questo riguardo, di un grande oblio nel nostro mondo contemporaneo. La domanda sulla verità è, infatti, una questione di memoria, di memoria profonda, perché si rivolge a qualcosa che ci precede e, in questo modo, può riuscire a riunirci oltre il nostro io piccolo e limitato”. Tutto il modernismo lotta contro questo miracolo: la possibilità di unità tra gli uomini.

Questo grande oblio è lo stesso oblio che riguarda la natura e la genesi della crisi della Grande Depressione del ‘29, e lo stesso oblio che riguarda la crisi dei mercati finanziari iniziata nel 2000 (e accentuata dagli attacchi alle Torri Gemelle di New York) e lo stesso oblio che riguarda l’inizio della crisi attuale, nel 2007. Una crisi di fiducia, di fronte alla quale ogni moderna tecnologia e ogni governo dei tecnici rimane strutturalmente inadeguato.

Per questo, di fronte al disastro incombente, occorre che la ripresa (sociale, morale ed economica) rinasca dalle comunità locali, cioè da luoghi nei quali le famiglie siano luoghi di preservazione della memoria e sorgenti riconosciute di valore per l’intero ambiente sociale. Solo da comunità locali così costituite possono rinascere sistemi monetari in grado di reggere alla tempesta incombente. Una tempesta inevitabile, perché non stanno facendo nulla per evitarla: in fondo, non ne sono neppure in grado, poiché la questione della fiducia non è all’ordine del giorno di governi o negli obiettivi posti per i governatori delle banche centrali.

Quelli capiscono solo di inflazione. Non vogliono l’inflazione, cioè l’unica arma che abbiamo capace di tenere a bada la bestia feroce del debito. E i politici lasceranno che i debiti facciano strage del popolo. Già lo hanno pianificato. Aboliranno l’Imu (ma solo per le prime case, non per le attività produttive)? Rimpiazzeranno il mancato introito con ulteriori anticipi di tasse. Rimandano l’Iva (un po’ di respiro prima di una nuova mazzata)? Ma sostituiranno il mancato introito con altre tasse. Invece di pescare dalla nostra tasca destra, pescheranno da quella sinistra: perché, per loro, l’importante è che “i saldi rimangano invariati”.

Non ci toglieranno nulla di tasse, in realtà. Cioè, l’esproprio dei beni personali continuerà (insieme a quello dei beni dello Stato). Ma gli andrà male pure questa volta. Com’è noto, il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. E aumentando le tasse oltre ogni limite, come la teoria predice, le entrate diminuiscono. Occorre essere pazienti, e preparare la ricostruzione dopo il disastro.